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Lattanzio da Rimini
(nessuna data certa) Riminese di nascita, nonostante abbia compiuto
l’educazione a Venezia accanto a Giovanni Bellini e Cima da Conegliano,
non rinnega le sue origini firmandosi “Lactantius Ariminensis” in una
Madonna fra due santi (Ferrara, già raccolta Costabili) e le ultime
notizie biografiche attestano un lungo soggiorno riminese dal 1509 al
1524. Numerosi storici, tra gli altri Giulio Lorenzetti e
Venturi attestano la presenza di Lattanzio a Venezia fin dal 1492,
quando collabora con Giovanni Bellini, di cui era discepolo, alla
decorazione della Sala de Maggior Consiglio a Palazzo Ducale. La frequentazione della bottega di Giovanni Bellini é
confermata da numerose fonti, per esempio Giulio Lorenzetti così ricorda
la presenza degli artisti emiliani: “E per uscir dal Veneto, Lattanzio
da Rimini e Nicolò Rondinello, i due rappresentanti di Romagna della
corrente belliniana, in cui però non mancano ricordi e tracce di
tradizioni locali”. Ma, a differenza del Rondinelli, Lattanzio “fu
qualcosa di più di un divulgatore in provincia del ricettario veneziano
di fine secolo. Egli partecipò più vivamente e più a fondo al mondo
pittorico di Carpaccio e di Cima”. (Gnudi, 1938). Ecco delinearsi i molteplici punti di riferimento
stilistici dell’artista durante il suo soggiorno veneziano: Giovanni
Bellini, con il quale collabora, Cima da Conegliano, di cui si definisce
allievo nell’epigrafe della tavola eseguita per Mezzoldo e il Carpaccio,
del quale riprende la minuzia nella resa dei dettagli vegetali e
animali. Giovanni Bellini (1430-1516), a contatto, prima col cognato
Andrea Mantegna, poi di Antonello da Messina che prende come esempio,
comincia un percorso originale incentrato sullo studio della luce e del
colore alla ricerca di un effetto sempre più naturale che lo conduce a
risultati ben lontani da quelli del padre Jacopo e del fratello Gentile. Adolfo Venturi definisce Lattanzio “un continuatore
del sistema illuministico di Giambellino Giovane (Giovanni Bellini)” che
“in quel poco che di lui ci rimane, veste di nivea luce le forme”. Il Tarchiani rivela “anche una più o meno diretta
derivazione antonellesca nel costruire robustamente ed atteggiare
monumentalmente le figure e perfino il tipo di San Giovanni Evangelista
di Mezzoldo”, ipotizzando “che le luci possano derivare magari
direttamente dal messinese, anche senza che Giambellino faccia da
intermediario”. La monumentalità delle figure viene sottolineata
anche dal Gnudi anche se quest’ultimo riconosce in Cima da Conegliano il
referente di Lattanzio: “fedele ancora al modello cimesco della Madonna
dell’orto. |