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San Giovanni Battista fra gli apostoli Pietro e Paolo
(inizio XVI secolo).
Il dipinto raffigura una sacra conversazione a cui partecipano san
Giovanni Battista fra san Paolo caratterizzato dalla spada e san Pietro
con le classiche chiavi.
Per quanto concerne l'attribuzione del dipinto in assenza di
documentazione certa d'archivio non rimane che riportare la meticolosa
ricerca fatta da M. Mozzo e pubblicata su Noale Città d'Arte
(2008)
...
l'attribuzione carpaccesca - riproposta sulla base di nuovi documenti di
archivio in un recente contributo "il Carpaccio di Noale" (Baruzzo 2007)
pubblicato in concomitanza con l'uscita di questo volume - viene messa
in discussione già nel 1865...". È Giovanni Battista Cavalcaselle,
durante uno dei suoi primi viaggi in Italia dopo il rientro dall' esilio
londinese, a metterne in dubbio l'autografia sulla base di certe
crudezze stilistiche e cromatiche (Fondo Cavalcaselle, BMV; Levi 1988),
sottolineate anche più tardi nell' edizione "dell'History of Painting
ilt North Italy", dove il dipinto viene ricondotto a un
ambito veneziano, tra Vittore Belliniano e Benedetto Carpaccio. Da
allora si assiste a un susseguirsi di altre ipotesi attributive: nel
1869 l'ispettore delle Regie Gallerie di Venezia Guglielmo Botti e il
pittore Giulio Carlini lo definiscono "....opera alla maniera del
Carpaccio"; nel 1886 i pittori accademici Andrea Rota, Jacopo D'Andrea e
il rastauratore Giovanni Spoldi lo definiscono "... il bellissimo
dipinto del Carpaccio"; nel 1894 viene assegnata al Mansueti (Berchet
1894); successivamente al Belliniano (Ludwig-Molmenti 1906); e ad Andrea
da Murano (Fogolari 1918).
A partire dal secondo decennio del Novecento, la questione attributiva
si attesta su due personalità artistiche formatesi all'interno
dell'entourage belliniano, che risentono anche della pittura di
Carpaccio e di Cima da Conegliano: Lattanzio da Rimini e Cristoforo
Caselli. A favore del Lattanzio si pronuncia tra il 1922 e il 1923 il
Fiocco, che non esitava a considerare la pala noalese il «migliore
esempio di quanto poteva l'arte del riminese venezianeggiante» (Fiocco,
Piccoli Maestri, 1, Lattanzio da Rimini, in "Bollettino d'Arte", II
1922-1923. Pagg. 363-370). La sua proposta, condivisa da Thieme
Becker (Thiem-Becker 1928) e da Gnudi, che sottolineava la
«monumentalità rude, atticciata ma possente» delle forme (Gnudi 1938),
viene appoggiata anche da Heinemman, secondo il quale la pala sarebbe
stata firmata e datata 1505 (Heinemann 1962).
L'ipotesi dell'artista parmense, detto il Temperello, invece, avanzata
in un primo momento da Bernhard Berenson nel 1932, ma abbandonata a
distanza di tempo a favore di Lattanzio da Rimini (Berenson 1958),
prende corpo soltanto di recente. Dopo averla inizialmente assegnata al
pittore riminese (Lucco, 1986 e 1990), una nuova proposta attributiva
viene formulata da Mauro Lucco nel 1994, su cui si allinea anche il
giudizio di Anchise Tempestini, secondo il quale la tavola va ricondotta
entro la produzione dell'artista parmense in una datazione successiva al
1504 (Tempestini 1998 e 1999, ripreso anche da Faraglia 2005)."
Di recente, è stato nuovamente identificato come opera del parmense
Cristoforo Caselli. Vedi "A. Tempestini, Bellini e i belliniani in
Romagna", Firenze, Octavo Franco Cantini, 1998, in particolare p.
147; idem, "La Sacra Conversazione" nella pittura veneta dal 1500 al
1516", in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento Cinquecento, in "La
pittura nel Veneto. Il Cinquecento" a cura di M. Lucco, vol. II,
Milano, Electa, 1999. Pag. 988.
In attesa di documentazione certa che permetta di individuare la bottega
e chi al suo interno ha dipinta la tavola, in attesa di altre
attribuzioni o conferme prendiamo atto che è opinione di tutti i critici
è che si tratti di una tavola stupenda per la maestosa forza pittorica,
la luminosità dell'insieme e il riuscito intento descrittivo.
La pala offre tre piani di lettura: in primo piano, l'attenzione è
attirata dai tre santi, intenti ad una "sacra conversazione" nella
quale, ormai rapiti nell'eterno presente della gloria del Cielo,
ripresentano a noi la storia della salvezza. L'albero dai rami ritorti
che si vede alle spalle del Battista occupa un piano intermedio tra il
primo piano dei Santi e il paesaggio.
Fra i volatili compare in primo piano un cardellino che nell'arte
cristiana é spesso associato alla Passione di Cristo e simbolo di
fertilità e ardimento mentre la cornice rossa del riquadro pavimentale
su cui poggiano un piede i tre santi è da interpretare quale simbolo del
loro martirio.
La pala offre tre piani di lettura: in primo piano, l'attenzione è
attirata dai tre santi, intenti ad una "sacra conversazione" nella
quale, ormai rapiti nell'eterno presente della gloria del Cielo,
ripresentano a noi la storia della salvezza. L'albero dai rami ritorti
che si vede alle spalle del Battista occupa un piano intermedio tra il
primo piano dei Santi e il paesaggio che ad uno sguardo più attento si
rivela non un semplice sfondo naturale, bensì una dimensione, realtà
autonoma che sta vivendo una propria storia ai piedi della rocca di
Noale circondata dall'ampio fossato: una pagina della storia tumultuosa
di Noale. |