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Pietro Moro Laura Mocci
Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo pittore veneto
attivo tra gli ultimi tre decenni del XVIII secolo e i primi due del
secolo successivo. Figlio di Daniele, nacque intorno alla fine del sesto
decennio del Settecento ed è definito veneziano in una lettera di
Ferdinando Tonioli ad Antonio Canova e veneto nelle carte dell’Accademia
di belle arti di Venezia.
Allievo di questa Accademia dal 1773 al 1776 ottenne nel 1773 la terza
gratificazione per il disegno del nudo e, nel 1776, la prima; nel 1775,
superò Antonio Canova nel concorso di copia nella classe di scultura (Romanelli,
1994). Attivo nell’istituzione dal 1790 al 1807 in vari ruoli, tra cui
quello di professore nel 1796 e 1797 e cassiere nel 1799, realizzò la
sua prima opera a Brescia per la chiesa di S. Eufemia. Al dipinto,
raffigurante l’Epifania, firmato e datato 1790, caratterizzato da una
composizione farraginosa e da un colorismo di ascendenza tiepolesca (Panazza
- Boselli, 1946) seguì, entro l’anno successivo, nella stessa città,
il Martirio di s. Alessandro per l’altare maggiore della chiesa omonima
che, nonostante qualche incertezza, conferma l’interesse dell’artista
per la grande tradizione settecentesca veneziana. Di segno diverso il
linguaggio adottato in occasione di committenze profane, in particolare
quando si specializzò come figurinista nelle composizioni ad affresco
d’ispirazione neoclassica. Tale scelta risultò evidente fin dalla
decorazione di palazzo Bellavite a Venezia ove, intorno al 1793, in
collaborazione con l’ornatista Giovanbattista Bison, decorò le volte di
due ambienti del mezzanino, la prima con l'Imeneo di Bacco e Arianna e
la seconda con Giove circondato da Apollo, Diana, Marte, Mercurio,
Venere, Saturno.
Nel 1795 è documentato nella parrocchiale di Noale dove, nella navata
sinistra, dipinse la Cena in Emmaus e tre figure del Redentore, per la
Confraternita del SS. Sacramento, e, in quella di destra,
l’Incoronazione della Vergine e tre profezie riguardanti la Madonna per
la Confraternita dei battuti. Stando a quanto affermato da Moschini
(1815), tra la fine del XVIII secolo e i primi anni del secolo
successivo, fu attivo a Venezia nelle chiese di S. Lio (Elia confortato
dall’angelo nella volta della cappella maggiore, due lunette a monocromo
con la Fede e la Carità e Due angeli che adorano la Trinità nella
lunetta dietro l’altare della cappellina laterale), di S. Giovanni in
Bragora (S. Zaccaria e S. Elisabetta in due ovali laterali nella
cappella maggiore e Apostoli nei pennacchi delle arcate) e di S. Maria
della Consolazione, o della Fava (S. Francesco di Sales e S. Giovanna
Francesca Frémiot de Chantal, sul primo altare a destra).
Nel 1800, sotto la direzione di Giannantonio
Selva, lavorò in palazzo Dolfin Manin dipingendo Atena con un amorino
nella sala da ricevimento al primo piano,
Atena appoggiata allo scudo nel soffitto di
una sala dell’appartamento al mezzanino, il
Ratto di Ganimedenel soffitto della stanza
che dà su rio S. Salvator (Paolillo - Della Santa, 1970) e, secondo
Pavanello (1978), le Arti nella stanza dei Paesaggi al primo piano.
Intorno al 1804 risalgono gli interventi, a fianco dell’ornatista Davide
Rossi, in palazzo Belloni Battagia presso S. Stae.
Nel salone affrescò alcune scene storiche raffigurate oltre un finto
loggiato corinzio, in un locale aperto sul giardino la Disputa tra
Minerva e Aracne, nella sala sul Canal Grande Mercurio e i Continenti
(nella volta) e le Arti (in tre sovrapporte), in una sala con trofei e
finti rilievi le figure di Mercurio, Ebe, Minerva e, in una stanzetta
contigua, tre scene con Amore e Psiche, Giunone e Venere e Le Grazie (Pavanello,
1978).
Nel 1805 Moro risulta abitare a Venezia al numero 2368 di calle Pisani,
nella ex parrocchia di S. Vidal, a S. Stefano, insieme al fratello
maggiore Gasparo, agente della famiglia Manfredini, e alla moglie di
questi Caterina; allo stesso indirizzo, è documentato nel 1811, quando
risulta convivere con Lucrezia Moro, quondamAntonio Foscarini, della
quale non si specifica il ruolo (Romanelli, 1994).
Al 1806 risalgono i lavori per la famiglia Erizzo in palazzo Ziani.
La mano di Moro è riconoscibile nel salone al secondo piano dove
affrescò, sul soffitto, Ercole in gloria, e, sulle pareti, entro una
decorazione a paraste scanalate e nicchie con statue, la Clemenza di
Scipione e Coriolano e le donne «tipiche esercitazioni storico-morali
della domestica antologia delle virtù romane degli anni neoclassici» (Pavanello,1980,
p.131); dipinse anche nella sala di Nettuno, nella saletta dei Baccanali
(Nozze di Bacco e Arianna, sul soffitto), nella sala del Concilio degli
dei (la scena del Concilio sul soffitto), e nell’alcova (Romanelli,
1994).
Al 1806 risalgono anche gli interventi in ca’ Moro Lin (Pavanello,
1978), cui seguì la partecipazione ai lavori per il teatro La Fenice,
dove risulta attivo dal 14 luglio al 26 dicembre 1808 (Pavanello, 1987).
La decorazione, perduta, ma nota attraverso un tardo disegno di Giuseppe
Borsato, pittore ornatista e direttore dei lavori, prevedeva al centro
del soffitto il Trionfo di Apollo di Costantino Cedini, e tutt’intorno,
secondo le parole di Tonioli «vari quadri sul gusto di Raffaele [che]
dipinse molto bravamente Pietro Moro» (Pavanello, 2001, p.79).
Intorno al 1810 vengono datati gli interventi nella villa Comello a
Mottinello Nuovo, dove realizzò, entro inquadrature di Davide
Rossi, Minerva con le Arti e le Scienzenel soffitto del salone al primo
piano e scene dell’Antico e del Nuovo Testamentonella cappella (Pavanello,
1978). In collaborazione con lo stesso artista, durante il Regno Italico
tra il 1806 e il 1814, affrescò la sala centrale dell’ala settecentesca
di villa Velo a Velo d’Astico con episodi relativi alla cacciata di papa
Pio VI da Roma e alle campagne napoleoniche entro un portico
illusionistico (ibid.). Lo stile
di Moro «dalla pennellata povera, [dal]l’uso dei colori piuttosto
smorzati, e [dal] la tipologia dei putti, sgraziati, coi capelli a
ciocche brevi» (ibid., p. 256) sembra riconoscibile nella villa Pisani a
Stra rinnovata nel 1811. All’artista vengono ricondotte, nella sala da
pranzo, le parti figurate sul soffitto e le scene sulle pareti (Donna
che frena il carro di un guerriero, Donna
con tre guerrieri, Giove
e Giunone con Mercurio e un eroe),
dipinte entro ornati attribuibili a Borsato, unPutto
con due colombe e un nastro nella
volta di una stanza di passaggio e la decorazione del bagno. A Padova, forse intorno al
1813, con l’ornatista Lodovico Brussa detto Guetto, Moro dipinse, nel
salone di palazzo Lazara, soggetti di gusto neoclassico e, nel salone al
secondo piano di palazzo Trieste-Sacerdoti, le
Storie di Psiche
(Pavanello, 1980). Tra il 1810 e il 1815,
probabilmente ancora con il Guetto, tornò a lavorare per la famiglia
Erizzo nella villa Foscarini Erizzo Serravalle a Pontelongo, affrescando
nel soffitto del salone al primo piano Apollo
sul carro del Sole circondato dalle Ore,
leOre danzanti,
i Segni
zodiacali e,
in una saletta laterale, episodi del Mito
di Apollo
e una
Suonatrice. Tornato a
Venezia, fu attivo alle procuratorie Vecchie nei lavori per la
realizzazione del palazzo Reale sotto la direzione di Borsato. Delle
numerose opere citate nella fattura del 17 gennaio 1815 (cinque
sovrapporte con Virtù e
la Verità nella
sala del trono, un Trionfo
di Nettuno nella
camera da letto del principe, una serie di scene di sacrificio, un’Aurora nella
«camera del fornimento verde» e figure varie nella sala da pranzo) si
conservano solo i sei tondi con le Storie
di
Amore e Psiche,
realizzati in sostituzione di quelli di Antonio Canal distrutti da un
incendio, le parti figurate nella saletta delle Belle Arti e quelle nel
primo corridoio sulla piazza (Pavanello, 1978). Nello
stesso periodo la mano di Moro è individuabile in palazzo Bonfanti che,
passato ai Vivante nel 1815, fu subito interessato da un’opera di
rinnovamento guidata da Borsato. Autore dell’Allegoria
di Cerere, Fanciulle
danzanti e Putti
e satiri nel
soffitto di una sala secondaria, a Moro viene attribuita anche una delle
scene parietali raffigurante una scena di naufragio, possibile allusione
all’attività di assicuratori marittimi dei nuovi proprietari (De Feo,
1995). Alla metà del secondo decennio
del XIX secolo tornò a lavorare, al fianco di Borsato, in palazzo
Bellavite dove dipinse al piano nobile Amore
e Psiche con le Grazie,Giunone sul
carro trainato da due pavoni con putto,
un’Erma,
il Carro
della Vittoria e
le personificazioni di Pittura, Scultura, Musica e Astronomia (De
Feo, 1997).
Responsabile nel 1817 delle Storie
di Amore e Psiche entro
ornati di Borsato in un soffitto del secondo piano di palazzo Albrizzi (Pavanello,
1978), Moro è citato per l’ultima volta il 19 settembre 1819, quando
ricevette 800 lire come pagamento per alcuni lavori in palazzo
Duse Masin, realizzati sempre sotto la direzione di Borsato (Pavanello,
1980, p. 70 n. 35). Morì,
probabilmente a Venezia, intorno alla fine del secondo decennio del XIX
secolo. Oltre
alle opere citate, la mano dell'artista è stata individuata da Pavanello
(1978) in un soffitto del mezzanino in palazzo Donà a S. Stin (Offerta
ad Apollo, Atalanta e Ippomene, Caccia al cinghiale e Imeneo intorno
a un Apollo);
nella stanza a destra del salone in palazzo Bellavitis a S. Maurizio
(trofei delle Arti in
monocromo e scene con Figura
femminile alata su cocchio, Amore svegliato da Psiche con le Grazie,
Giunone su un cocchio, Donna che incorona un’erma satiresca con busto di
Platone); nel
soffitto dell’alcova al terzo piano in palazzo Barbarigo della Terrazza
(Venere con la Concordia
maritale e
sedici tondi con figure mitologiche); in palazzo Dondi Dall’Orologio,
ora D’Anna (Storie romane in
monocromo e sovrapporte con profili di Imperatori,
nel salone; Offerta
a Cerere e Amorino
e figura femminile,
nei soffitti di due stanze; Paesaggi inquadrati
da candelabre nella stanza a mezzogiorno); in due soffitti al secondo
piano di palazzo Gradenigo a S. Giustina raffiguranti rispettivamente Apollo
sul carro, Aurora e
la Storia
di Psiche; in
alcune sale di palazzo Querini Stampalia in cui sono raffigurate scene
di sacrificio e temi mitologici; in tre sale al primo piano nel palazzo
delle suore Imeldine, di fronte alla chiesa di S. Canciano, con episodi
mitologici (Ebe e Ganimede, il Trionfo
di Anfitrite e
il Trionfo
delle Nereidi) e
in un soffitto al primo piano del palazzo di calle S. Zulian 548
raffigurante il Carro
di Venere. Fonti e
Bibl.: G. Moschini, Guida
per la città di Venezia all'amico delle belle arti, I,Venezia
1815, pp. 80, 211, 216; Id., Guida
per la città di Padova all'amico delle belle arti, Venezia
1817, pp. 179, 281; G. Panazza - A. Boselli, Pitture
in Brescia dal Duecento all’Ottocento,
Brescia 1946, pp. 164 s.; D.R. Paolillo - C. Dalla Santa, Il
palazzo Dolfin Manin a Rialto, Venezia
1970, pp. 35, 39, 44; G. Romanelli, Per
Giuseppe Borsato: una economica dipintura del teatro La Fenice nel 1808
e le origini della loggia imperiale,
in Atti
dell’Istituto veneto di scienze, lettere a arti. Classe scienze morali,
lettere e arti,
CXXXIII (1974-75), pp. 213-235; G. Pavanello, La
decorazione del palazzo Reale di Venezia,
in Bollettino
dei Musei Civici veneziani,
XXI (1976), 1-2, pp. 3-34; Id., La
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in Venezia
nell’età di Canova 1780-1830 (catal.),
a cura di E.Bassi - A. Dorigato - G. Mariacher, Venezia 1978, pp.
281-300; F. D’Arcais - F. Zava Boccazzi - G. Pavanello, Gli
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in Antologia
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Venezia 1987, pp.155, 161 s.; G. Romanelli,Storia
e mitologia nel casino degli Erizzo: la stagione neo-classica,
in Palazzo
Ziani. Storia, architettura, decorazioni,
Venezia 1994, pp.123-137; R. De Feo, Dalle
glorie familiari alla revanche ebraica. Gli affreschi sette e
ottocenteschi di Andrea Pastò, Giovancarlo Bevilacqua, Giuseppe Borsato
e Giovambattista Canal in palazzo Bonfadini-Vivante,
in Palazzo
Bonfadini-Vivante,
Venezia 1995, pp. 91 s.; Id.,Giuseppe
Bernardino Bison e P. M. frescanti in palazzo Bellavite,
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Una carta d’archivio sulla decorazione «napoleonica» del teatro La
Fenice, in Neoclassico,
2001, n. 20, pp. 76-78. |